Presto o tardi chi aggredisce gli altri si autoelimina dal mercato del lavoro interno o esterno all’azienda, perché l’aggressività e la distruttività non sono mai funzionali al benessere organizzativo né alla produttività.
Questa è la vera reputazione che ognuno porta con sé, e riguarda il modo di trattare (anche a distanza!) gli altri.
E’ sconvolgente quanto di questi tempi le persone, a qualunque livello lavorativo si trovino, si permettano di porsi in maniera aggressiva nei confronti degli altri.
E’ ancor più sconvolgente constatare come lavorare a distanza autorizzi le persone a usare toni molto provocatori ed auto celebrativi.
Non esiste pudore alcuno, né per chi sta loro di fronte (magari qualcuno che ne sa più di lui/lei), né rispetto delle regole o della legge (esiste anche quella!) né della parte umana dell’interlocutore che potrebbe trovarsi in una posizione di forte imbarazzo.
Mi preme allora ripescare per l’appunto questa parte dell’umana natura che ha salvato tante persone nella vita e ancor più sul lavoro: il provare imbarazzo.
E’ molto importante che chi viene aggredito in maniera diretta e spesso indiretta sul lavoro possa riconoscere il proprio imbarazzo e farsi guidare da esso.
Chi aggredisce ed è riuscito a fare almeno un pezzo di carriera, non ha evidentemente altra maniera di mettersi in luce o ha creduto per un puro caso che questo comportamento potesse renderlo degno di nota, che l’antagonismo distruttivo aumentasse le sue chances di potere.
Il più delle volte trattasi di persone che non hanno grandi argomenti se non quello di saper spaventare il prossimo per immobilizzarlo e “mangiarselo”.
Le organizzazioni a volte non ostacolano questi comportamenti, anzi li usano per fare sì che nei gruppi vi sia una selezione naturale senza bisogno di una leadership condivisa o circolante.
Ma presto o tardi chi aggredisce gli altri si autoelimina dal mercato del lavoro interno o esterno all’azienda perché l’aggressività e la distruttività non sono mai funzionali al benessere organizzativo né alla produttività.
Oltre un certo punto non si va e improvvisamente chi ha aggredito trova un muro, che nient’altro è che il suo specchio, ove vede sé stesso. Non un leone ma una formica che sollevando un sasso rimane schiacciata.
E chi viene aggredito nel frattempo, e magari è un giovane in carriera e senza colpe?
L’aggredito naturalmente resta immobile per la paura, poi prova imbarazzo e si sente insicuro nella sua mansione, ruolo, e magari contratto di consulenza.
Ma quando riesce a riconoscere che non è lui un colpevole, a vedere nell’altro la formica che è, e capire che è l’altro che urla perché si sente schiacciato … beh allora può fermarsi e attendere che questo periodo finisca. La carriera di chi aggredisce è sempre a tempo determinato. Questa è la vera reputazione che ognuno si porta con sé, e riguarda il modo di trattare (anche a distanza!) gli altri.
Certi manager non salgono oltre un certo punto, che è anche il punto limite fino al quale le organizzazioni li hanno usati fino a quel momento.
Credendo di cavalcare un’onda dell’oceano si ritrovano in un Parco acquatico.
Mettersi al tu per tu con le persone aggressive significa dover essere ancora più aggressivi di loro, spesso una battaglia persa. A volte al lavoro è più logico evitare che le situazioni di conflitto ci tocchino, perché non sempre possiamo gestirle se non abbiamo un potere riconosciuto, un ruolo, o magari un lavoro stabile.
Ma vale la pena che la paura non annebbi la vista e invece aiuti a riconoscere l’imbarazzo che si prova per l’altro, la vergogna che si prova a pensare che un Manager non sia all’altezza di stare calmo.