Tante cose emergono dallo scambio tra un counsellor orientatore ed un giovane, alcune identificano chi andrà avanti, altre chi starà fermo, dimensioni psicologiche che separano e distanziano moltissimo i ragazzi tra loro.
E’ come se la generazione che attualmente è in età da lavoro si dividesse in 2 grandi gruppi, nettamente distinti, con caratteristiche individuali e relazionali che tra loro non si parlano e non si scambiano nulla.
Alla base di tutto vi è la presenza, l’essere presenti a sé stessi ed alla vita. Vi sono persone che esistono come se fossero sempre altrove, forse in dimensioni del loro intimo o del loro passato che non sono mai centrate sulle circostanze presenti, né mai hanno la luce vitale dello sguardo al futuro. Vi sono invece altri giovani che hanno una luce vitale ed una purezza di idee dentro i loro occhi, obiettivi di riscatto per sé e le proprie famiglie, voglia di costruire qualcosa e dare il proprio contributo al mondo.
I cosidetti talenti sono tali per l’energia e la passione, per la proiezione su un futuro a cui loro possono contribuire in termini positivi, internazionali e sociali.
Intanto ecco i giovani vecchi che aspettano, che non vanno orientati perché non stanno cercando, che si propongono perché la vita e l’età glielo impongono ma non hanno energia nelle loro azioni e nelle loro richieste perché non vedono come e cosa vorrebbero fare da grandi.
Ed intanto i talenti che già sono volati via, hanno progettato e realizzato mini start up d’impresa, hanno visto colleghi di tutto il mondo e sono entrati in gruppi internazionali.
Ciò che li distingue è il sentimento del potere rispetto alla vita, rispetto al futuro.
Ciò che li spinge avanti è non solo l’ambizione, facilmente realizzabile oggigiorno con un pizzico di intraprendenza, ma il senso della vita che è globale, comprende altri mondi reali e virtuali e li mette in contatto, e soprattutto è proiettato al fare qualcosa insieme agli altri che sia utile per gli altri.
I talenti hanno tutti una caratteristica comune: la consapevolezza della propria fortuna e il desiderio di dividerla con altri.
Chi gareggia non è più attuale, esce dai giochi prestissimo perché non potrà mai trovare soddisfazione né vincere ogni cosa. Chi cerca il meglio di sé, ne è consapevole, ragiona in maniera critica e selettiva, approfondisce, prova e riprova, vince anche. I giovani talenti desiderano, ottengono e sanno godere dei propri risultati senza falsità né finti pudori ma con la pienezza del merito.
I giovani vecchi invece non hanno desideri di nessun tipo, non conoscono l’essere appagati, l’esaltazione della speranza, l’ingenua gioia di chi s’innamora dei suoi progetti. Non conoscono altresì delusioni o grandi dolori, né lacrime per un ostacolo improvviso, rabbia per un mancato risultato. Sono sospesi nella vita dei loro coetanei, si sospingono tra loro come chi resta sollevato in una folla che lo schiaccia e lo alza senza che egli si stia nemmeno appoggiando al terreno.
Non ridono e non piangono, ma soprattutto a domanda non rispondono, si bloccano, non capiscono, si offendono.
Parlano di sé e usano parole grosse e pesanti, parole di depressione, di malattia sociale, di noia. Parlano di sé stessi e basta, non hanno giudizio critico su ciò che li circonda e non sanno pensare in maniera da fare differenza tra ciò che piace loro e ciò che li disgusta. Disegnare la loro carriera è difficile, l’hanno già addosso disegnata ben bene eppure gli sta larga come un abito che copre e non veste.
Si tratta più che altro di un sostegno psicologico e di un vero e proprio insegnamento, poiché ciò che ho visto è la totale mancanza di una solidità valoriale che dia corpo a questi giovani e renda il loro abito un vestito. Trasmettere contenuti tecnici che interessino questi ragazzi e che li facciano sentire più autorevoli, più consistenti e magari meno astratti.
Seguire un talento è invece molto diverso, è una sfida per chi ascolta, è un misurarsi con la propria ovvietà davanti a qualcuno che ti ha già preceduto, anticipato. Un talento a volte non risponde poiché dà già per fatte e scontate le cose che gli chiedi. Va seguito sulle capacità di relazione “politica” ovvero gli va solo insegnato come declinare le proprie mosse all’interno di sistemi chiusi ed obsoleti, o all’interno di gruppi professionali in cui le regole sono anche vincoli.
Poi esiste l’orientamento ai meno giovani professionalmente, i giovani manager che desiderano fare un salto di carriera internamente all’organizzazione, o che desiderano altresì cambiare azienda.
Coloro che chiedono tale orientamento sono il più delle volte già dei talenti, hanno già una posizione consolidata ed hanno già idee e progetti in essere e realizzati. Chiedono un confronto più che un orientamento. Intanto su come presentarsi formalmente in termini di profilo, curriculum o posizione sui social media.
Chi lavora con successo è raramente concentrato sulle relazioni pubbliche o sulla vendita di sé in altri settori, anche dalle statistiche delle società di head hunting emerge quanto i veri talenti siano in effetti introvabili sul web, poiché a testa bassa lavorano e non vanno cercando relazioni (anche per mancanza semplice di tempo). Sono persone impegnate con tante idee, senza complessi e solitamente con situazioni familiari e sociali equilibrate, capaci già di stare in un gruppo e di fare da leader.
Trattasi allora di un counselling professionale, un intervento che si rende necessario e va svolto in maniera sartoriale in conseguenza a situazioni nelle quali un manager si trovi all’interno di:
• trasformazioni o migrazioni organizzative, con una complessità di ruolo maggiore ed un aumentato livello di contenuti e relazioni da intrattenere. In questi casi è la multi appartenenza di ruolo il focus, alla base di stress e ansie.
• Cambiamenti di posizione o processi di crescita rapida, come di un ruolo di responsabilità da parte di un giovane manager, il che richiede competenze trasversali non legate alle skills tecniche ma all’esercizio di comportamenti e relazioni.
In questo caso l’orientamento verte sul consolidamento, il confronto e l’analisi dei rapporti di lavoro e sulle strategie che rendano funzionali i propri comportamenti per acquisire credibilità ed autorevolezza.
I talenti, i manager e soprattutto gli imprenditori la cui azienda cresce, hanno bisogno di sicurezza e di un pari con cui parlare, essendo rimasti soli con la propria leadership.
Orientare pertanto è lavorare sulla struttura interna delle persone che possiedono già un talento, e alimentare quella di coloro che ancora devono capire di averlo.
Come diceva Weber “Il carisma è la capacità che una persona possiede di suscitare e conservare una fiducia in sé quale fonte di legittimità”.