La pandemia ha chiuso in casa tutti, chi, come un adolescente, doveva imparare qualcosa di sé attraverso le relazioni coi pari, è più svantaggiato e depresso che mai, spesso, si rifugia in comportamenti poco sani.
Si assiste alla regressione dei ragazzi, che per via del Covid e della Didattica a distanza, ed aiutati dalle aziende di software che producono giochi molto violenti ed avvincenti, si sono trasformati in mostri da divano, in zombie arrabbiati e sfuggenti, con cui è molto difficile comunicare.
I videogiochi sollecitano l’aggressività chimica. Premiano meccanismi di comportamento stimolo-risposta nei quali l’insistenza produce risultati. Oppure dove il valore di base non sono la comunicazione e la collaborazione ma la conquista e la guerra.
La logica del più forte si ripercuote sugli atteggiamenti dei ragazzi. Per trasmettere le loro idee o per chiedere qualcosa non sanno spiegare il loro bisogno, non argomentano ma pretendono. Non pensano strategie ma attuano battaglie e non mollano mai, come in un videogioco o su uno schermo on-demand, ovvero dove a domanda ottieni risposta.
Esattamente l’opposto della vita. Dove se non sai chiedere non ottieni nulla, dove l’insistenza è fallimentare, dove senza strategie non si ottiene alcun obiettivo.
Il linguaggio ed i punti di riferimento dei genitori sono poco attuali e non rappresentano nulla ai figli. I rimproveri su valori e esperienze non fatte restano parole astratte e completamente vuote.
I ragazzi vivono due realtà parallele. La vita reale, priva di stimoli fisici, e la droga da video, che stimola in loro una dipendenza anche chimica e li rende sempre tesi e nervosi a cercare l’interazione con il monitor.
Ma cosa fare allora per gestire e magari risolvere questo problema?
Il genitore che lavora, ed è stremato dalle preoccupazioni economiche e di salute (pandemia in corso), si attendeva di dover fare da educatore, da taxista, da compagno e da riferimento … Ma con dialogo e buon senso.
Invece si rende necessaria una strategia di disassuefazione da video, di riabilitazione psicologica del figlio adolescente, non solo rispetto alla vita, ma anche rispetto alle relazioni con i pari.
Ecco alcuni piccoli spunti per iniziare un lavoro di riabilitazione sui figli adolescenti “sfuggiti di mano” per poi proseguirlo, magari, con l’aiuto di un professionista.
Innanzitutto “stanare” il ragazzo. Come un orso rintanato nella sua grotta il figlio va tolto di lì, con una scusa anche banale, ma va fatto uscire dalla sua grotta e riportato alla luce del sole.
Una corsa in bicicletta, una passeggiata, andare a prendere la spesa o a portare la pattumiera… Basta uscire e vedere la luce del sole.
Vanno limitate, a costo di conflitti aperti, le ore di fruizione dei video. Inizialmente i ragazzi sembreranno impazziti, ma dopo qualche giorno di disintossicazione ricominceranno a guardare le persone negli occhi e non sui piedi o nel vuoto.
Stabilire un ritmo di vita nel quale il ragazzo debba uscire per fare qualsiasi cosa, anche solo una piccola commissione in un orario preciso.
Fare progetti assieme anche se verranno realizzati più avanti.
Stargli vicino, con molto contatto fisico, molto affetto e molte conferme verbali sulla sua persona. Ascoltare il suo modo di sentire e capire come egli sente le proprie emozioni e che considerazione ha di sé.
Parlargli a voce bassa e spiegare che ogni cosa ha un senso. Raccontare il senso delle cose: il ragazzo vi dirà che siete dei genitori noiosi con la bocca, ma con l’orecchio vi ascolterà.
Infondere fiducia, ossia trattare idee e concetti neutri o positivi, infondere speranza nel futuro e buone cose, belle parole, senso dell’amicizia dell’amore del fatto che ci si può fidare.
Gli adolescenti possono farcela. Stanno soffrendo e non lo dicono, si sentono molto soli .
La privazione di stimoli sensoriali e sociali del Covid li fa tornare molto indietro, chiudere in sé, in forme di difesa che loro stessi non sanno spiegare.